
In questo post voglio raccontare perché ho scelto di lavorare nella salute mentale. Voglio descrivere le motivazioni e le esperienze che mi hanno portato a scegliere il percorso di studi in Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica.
Da che ho memoria ho sempre avuto l’attrazione per il mondo della cura e del prendersi cura. Sarà che papà è medico, ma la medicina, il camice bianco e lo stetoscopio hanno sempre fatto parte del mio immaginario e della mia infanzia.
Per un periodo ho unito il camice bianco alla mia passione ancestrale per gli animali, e per tutti gli anni delle elementari e delle medie ho desiderato fare la veterinaria, rimbalzando ogni tanto verso l’etologia.
Da dove parte la mia scelta
Ricordo che agli scout durante gli anni di reparto, per un paio di anni nella mia squadriglia ha fatto parte una ragazza con ritardo cognitivo. Era entrata che non era affatto autonoma: non era in grado di vestirsi e di lavarsi da sola, faticava a chiedere aiuto se ne aveva bisogno. Io e la mia squadriglia ci siamo prese cura di lei durante le uscite e i campi estivi: le abbiamo fatto vedere come ci si lavava, come ci si allacciava la camicia, come si riempivano le borracce, come si lavavano le pentole e tutti gli aspetti del vivere quotidiano in campo.
Sempre durante la mia esperienza scout – ero al noviziato quindi corrispondente al periodo della quarta superiore – abbiamo fatto servizio in una comunità per il trattamento delle dipendenze. Ricordo che siamo arrivati un giovedì pomeriggio e giusto quella sera c’era la serata film: abbiamo visto American History X. Quella sera mi sono sentita osservata con curiosità e stupore, come se fossi un alieno giunto da lontano. In quei giorni abbiamo lavorato con le persone che vivevano lì: abbiamo cucinato, apparecchiato, tagliato la legna, pulito i pavimenti, giocato a frisbee in chiesa usando un sottovaso. Dal giovedì alla domenica abbiamo mangiato, pulito e giocato insieme, e noi scout eravamo lì per dare una mano alla vita della comunità.
Credo che queste esperienze abbiano influito in parte sul perché abbia poi scelto di lavorare nella salute mentale. Già in quegli anni si è manifestata l’attrazione verso il prendersi cura dell’altro, lo stabilire una comunicazione nei suoi confronti e l’imparare a “fare con” l’altro.
Il film che credo abbia sancito l’interesse chiaro verso la psichiatria sia stato Patch Adams interpretato da Robin Williams. Da quel momento in poi si è fatta strada l’idea e la mia intenzione di voler lavorare con i matti. I matti me li immaginavo come umani sì diversi da me, con i loro modi bizzarri e imprevedibili, ma anche molto vicini e simili. La curiosità di scoprire la mente dell’altro, come e cosa pensa, come soffre e come vive la propria vita, è stata ed è tuttora la bussola che mi guida nel lavoro che faccio. Uno dei motivi per cui ho scelto di lavorare nella salute mentale è stato proprio il desiderio di conoscenza e comprensione. Quest’ultime mi danno la possibilità di mettermi nei panni dell’altro, di empatizzare.
Perciò finito il liceo quando giunse il momento di scegliere che studi universitari intraprendere, decisi di tentare il test di ammissione in medicina, con l’obiettivo finale di diventare psichiatra. Per fortuna – lo dico con la consapevolezza di oggi – non ho passato il test. Andai quindi alla ricerca di un piano B che fosse interessante e motivante. Mi sono imbattuta nel corso di laurea di Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica, e già dalla descrizione del corso, mi resi conto che era quello che mi ero sempre immaginata. Avrei potuto fin da subito lavorare con i matti, far subito esperienza diretta del contatto con la follia.
Ho passato il test e mi sono iscritta al CdL di Tecnica della Riabilitazione Psichiatrica. Studiando e facendo il tirocinio mi rendevo sempre più conto che quello che volevo fare era proprio questo. Mi sono scoperta a mio agio nel mondo della psichiatria e sempre curiosa di fronte alla mente e ai suoi modi di essere.
Dove sto andando
Fare questo lavoro e continuare a studiare in questo ambito, sono prima di tutto strumenti di conoscenza di sé. Attraverso la relazione con i pazienti non solo conosco chi ho di fronte, ma conosco me stessa. La relazione funge da cassa di risonanza per i vissuti di entrambi, e nella relazione oltre che prendermi cura dell’altro, posso imparare a cogliere aspetti di me. Mi pongo domande rispetto a come mi sento se l’altro è triste, agitato o allegro; mi domando come mi sentirei io in quella situazione; osservo che emozioni mi suscita il comportamento dell’altro e che pensieri nascono; annoto le mie reazioni emotive più marcate e quelle che mi turbano.
Un clichè classico su chi lavora in ambito psichiatrico o psicologico è che la persona che si intende curare è prima di tutto sé stessi. In parte credo sia vero, è conoscendo l’altro che soffre che ho modo di entrare in contatto con quelle parti di me più sofferenti; è prendendomi cura dell’altro che posso imparare a prendermi cura di me. É con un lento lavoro di consapevolezza e di ascolto di sé che questi meccanismi relazionali possono essere guardati per quello che sono.
Sempre attraverso questa consapevolezza che si riesce a tenere a mente l’ambiguità e il senso di ignoto che si prova di fronte alla sofferenza mentale. Il dubbio che si prova, è indice dello stesso dubbio che si prova nei propri confronti: sono le parti incognite di me che chiedono di essere svelate. Molte persone di fronte a questi aspetti sconosciuti di sé si spaventano e li lasciano al buio. Altre invece, intimorite ma allo stesso incuriosite, decidono di esplorarle e di accendere una luce di conoscenza.
Trovarsi davanti un pazzo
Voglio concludere con una frase tratta da Enrico IV di Pirandello, che esprime quella sensazione ambivalente di avvicinamento e allontanamento che si può provare entrando in contatto con la sofferenza mentale.
Trovarsi davanti a un pazzo sapete che significa? Trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica, la logica di tutte le vostre costruzioni! Eh! Che volete? Costruiscono senza logica, beati loro, i pazzi! O con una loro logica che vola come una piuma! Volubili! Volubili! Oggi così e domani chi sa come! Voi vi tenete forte, ed essi non si tengono più. Voi dite “questo non può essere” e per loro può essere tutto.
Grazie! Parole che condivido nel cuore. Grazie perché andrò a lavorare in Spdc tra pochi giorni e avevo bisogno di queste parole!
Grazie!
Grazie a te Mari per essere passata di qui. Mi fa piacere che queste parole ti siano state di conforto e ti chiedo scusa per l’immenso ritardo nella risposta.
Come procede il lavoro in SPDC?